Nilde Iotti...un Cavaliere pieno di coraggio/sempre pronto a rimettersi in viaggio, di Elena Montecchi

Rispondo così, citando Gianni Rodari, a chi mi chiede chi era Nilde Iotti.


A chi mi chiede chi era Nilde Iotti rispondo che, per me, la sua vita straordinaria è riassumibile in una strofa, tratta da una filastrocca di Gianni Rodari “...un Cavaliere pieno di coraggio/sempre pronto a rimettersi in viaggio". Ma, ai miei interlocutori, dico anche che la sua sapienza, le sue parole e i suoi insegnamenti hanno consentito a molte persone di scoprire che "in cuore abbiamo tutti un Cavaliere pieno di coraggio".

Il mio rapporto più frequente e costante, risale al 1992, quando Nilde, deputata "semplice”, iniziò a condividere con noi il lavoro parlamentare quotidiano. In realtà il mio dialogo con lei non iniziò nel migliore dei modi: non condivise la decisione del Gruppo parlamentare di propormi alla carica di Questore della Camera dei Deputati. Riteneva che la mia esperienza politica e istituzionale fosse insufficiente per gestire al meglio quella carica.

Poi, pochi minuti prima del voto dell'Aula, mi disse che, nonostante le sue perplessità, avrebbe scritto il mio nome sulla scheda, dimostrandomi di unire alla schiettezza una profonda lealtà e rispetto per le persone. Venni poi eletta, con un numero di voti superiore alle aspettative, la prima donna il quel ruolo e di questo si congratulò. Cominciò così un rapporto profondo. Sottoposi al suo giudizio e alle sue valutazioni ogni atto amministrativo o riforma rilevante che introducemmo nella vita interna della Camera dei Deputati, in una fase che richiedeva cambiamenti necessari.

Dovevamo rispondere, senza subalternità e senza cedimenti, agli eventi del biennio 1992/1994, e fare i conti con le vicende connesse a "Tangentopoli", con l’esplosione mediatica dell'antiparlamentarismo, con la crisi dei partiti che furono l'ossatura della Repubblica, con la presenza di nuove forze politiche che, grazie alla rivolta del Nord contro "Roma" o all'idea di una rifondazione morale della Repubblica, si affacciavano alla vita parlamentare con l'atteggiamento degli "antagonisti", alla ricerca di un palcoscenico.

Nilde disponeva di grandi risorse intellettuali, aveva maturato una esperienza istituzionale ineguagliabile, aveva una memoria prodigiosa e un "fiuto" politico che raramente ho rinvenuto in altri dirigenti. Lei mi aiutò a leggere il "contesto" politico, mi aiutò a disegnare anche una mappa dei complessi equilibri interni all'Amministrazione della Camera. Che si rivelò preziosa. Mi impose, letteralmente, di leggere ogni appunto amministrativo e di non fermarmi a quelle letture. Dovevo ricercare le fonti, soprattutto se le decisioni riguardavano le prerogative costituzionali del parlamentare, scritte nell'articolo 67 della Costituzione. A suo parere le pulsioni antiparlamentariste che si presentavano negli anni '90, in forme e modi nuovi avevano radici profonde e lontane.

Nilde sottolineava sempre che il Parlamento è un caposaldo della intelaiatura democratica solo "se sa interpretare i tempi nuovi e se è in grado di individuare le correzioni necessarie". Le sue riforme regolamentari testimoniano di ciò.

Esse maturarono nel vivo di battaglie politiche durissime degli anni ’80, quali l'ostruzionismo radicale contro i decreti anti-terrorismo e l'ostruzionismo comunista sulla decretazione per la scala mobile. Furono momenti difficili per la sua Presidenza (e per la sua persona) ma in essi ha dimostrato la capacità di sviluppare un pensiero democratico strategico.

Non le ho mai chiesto come si fosse sentita, personalmente, di fronte ai violenti attacchi che in quella fase la colpirono da varie parti. Ma per lei vigeva una regola: "Devi ascoltare tutti, tenere conto delle osservazioni. Poi decidi. La decisione dipende da te e tu devi assumerti tutte le responsabilità". Usava spesso questa espressione: " Coraggio e spalle larghe… tieni il punto: quando sei convinta di una cosa, devi essere ferma come le radici di un rovere".

Tra me e lei si era stabilito quasi un tacito limite che riguardava la vita personale di ciascuna, che doveva essere al riparo dalle curiosità. Anche se, più volte, seppur amabilmente, mi aveva detto che le sembrava perlomeno eccentrico il fatto che io gestissi una rubrica settimanale - su un quotidiano nazionale - dedicata alla musica rock. "Ho letto che negli Stati Uniti hai fatto una lunga fila tentando di stringere la mano ad un cantante rock. Spero che tu sia riuscita nell'intento", mi disse un giorno. No, la missione alla quale tanto tenevo era fallita. Però, avevo messo in piedi una rubrica stabile sulla musica rock americana, con una importante stazione radiofonica. Fortunatamente Nilde non lo ha mai saputo.

La complessità della sua personalità, della sua esperienza politica e umana, si rifletteva anche nel riserbo, frutto di un costume “antico”, con il quale trattava le questioni legate al partito. Anche nel caso di una ormai lontana vicenda, quando, nel 1958, il Comitato Federale reggiano del PCI decise a larga maggioranza di non ricandidarla alle elezioni politiche, costringendola ad una candidatura a Bologna. In quella decisione la sua relazione con Palmiro Togliatti venne strumentalizzata, ma in realtà essa era il frutto dello scontro tra esponenti del “partito nuovo togliattiano” e una maggioranza che a Reggio Emilia era contro il rinnovamento.

Perciò non ho mai apprezzato i racconti di chi si è esercitato a descrivere le "calde lacrime di Nilde versate" in quel momento nel quale la si umiliava umanamente e politicamente. Se lacrime furono, penso che fossero espressione di rabbia e di ribellione. Le uniche risposte che Nilde mi dette a proposito di quel periodo riguardavano la storia della sua antica e consolidata amicizia con Jone Bartoli e Loretta Giaroni, anche in questo caso una storia di schiettezza e lealtà.

Nilde amava e conosceva molto bene Reggio. Ma non era disponibile a sostenere in alcun modo richieste e proposte localistiche. Per questo si impegnò molto nel 1994 quando iniziammo a lavorare insieme alla stesura della proposta di legge per l'istituzione della giornata nazionale della bandiera tricolore. Ciò era per lei un modo di impegnare la sua città in un contesto nazionale.

Questa esigenza era il frutto di un ragionamento molto più ampio, soprattutto in riferimento all'assetto statuale e alla ridefinizione dei rapporti tra lo stato e le autonomie regionali e locali. Nilde aveva iniziato ad osservare l'evoluzione dei sistemi regionali, a partire dagli Statuti, durante il triennio in cui fu Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati (1976-1979). Aveva intravisto le criticità nel rapporto fra lo stato centrale e le regioni. Lei pensava che, allora, il PCI non avesse compreso i rischi di un costante e permanente conflitto tra i diversi poteri dello stato. Il Presidente emiliano Guido Fanti, invece, aveva, a suo parere, ben colto i nodi problematici posti sul tappeto dal regionalismo e aveva ipotizzato perfino le "macro-regioni", pensate anche in una prospettiva di assunzione di responsabilità di governo nazionale del PCI. Una prospettiva che allora era al centro di uno scontro politico e culturale.

Lei non ha mai smesso di ragionare e di riflettere sul rapporto tra i sistemi di governo locale e lo stato, considerava urgenti delle riforme "armoniche" tanto più necessarie negli anni in cui l'elezione diretta del Parlamento europeo e poi il processo di integrazione europea ridisegnavano la sovranità statuale.

Anche nel suo ultimo intervento nell'Aula di Montecitorio mise in guardia tutti da "convinta sostenitrice dell'autonomia delle regioni" sui rischi di "una contrattazione continua nei confronti del centro e di rivendicazioni, che già conosciamo, su basi territoriali".

Con la sua esperienza e il suo pensiero politico lungo era in grado di cogliere le criticità strategiche della nostra forma istituzionale che ancora ci assillano.

Per questo la figura e il contributo di Nilde Iotti, le sue doti politiche e culturali, testimoniano di come, larga parte del movimento comunista italiano abbia contribuito allo sforzo collettivo della costruzione di una nuova “identità repubblicana”, il grande lascito della sua generazione, incontrando, su questo cammino, il meglio della cultura democratica della storia del nostro paese.

Elena Montecchi 

04 maggio 2020